Il diritto annuale della CCIAA si prescrive in cinque anni

IL PRINCIPIO DI DIRITTO

Secondo la Corte di Cassazione (ord. 14244/2021) il diritto camerale, dovuto per l’iscrizione nel registro tenuto presso il Registro delle Imprese, e le relative sanzioni si prescrivono in cinque anni e non in dieci anni.

La decisione

Una società impugnava le intimazioni di pagamento emesse dalla società di riscossione afferenti al mancato versamento della tassa di iscrizione e dei diritti annuali dovuti alla Camera di Commercio, lamentando l’avvenuta prescrizione quinquennale.

In grado d’appello, la CTR, in ragione dell’assenza di un riferimento normativo al riguardo, sosteneva che il diritto a riscuotere il tributo camerale è soggetto all’ordinario termine decennale di prescrizione di cui all’art. 2946 c.c.

La Corte di Cassazione, investita della questione, ricordava, in via preliminare, come fosse da affermare la natura di tributo del diritto camerale ad opera della L. n. 289 del 2002, art. 13, co. 3, e del successivo art. 5-quater, co. 1, D.L. n. 282 del 2002 (introdotto in sede di conversione dalla L. n. 27 del 2003).

Così individuata la natura del diritto camerale, lo stesso è disciplinato dalla L. n. 580/1993, art. 18, (Riordinamento delle camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura) il quale prevede che sia versato con cadenza annuale in quanto finalizzato al finanziamento ordinario delle camere di commercio.

Il diritto camerale è, dunque assimilabile a quei tributi aventi cadenza periodica, ogni anno o in termini più brevi configurandosi alla stregua di un’obbligazione periodica o di durata, per la quale trova applicazione l’art. 2948 c.c., n. 4, che prevede la prescrizione quinquennale.

Tali tributi non richiedono, quanto alla sussistenza dei relativi presupposti, una valutazione autonoma per ogni anno di imposta, assumendo all’uopo, oltre alla suindicata periodicità, il versamento annuale in un’unica soluzione e il fatto che il presupposto per il sorgere dell’obbligo di pagamento la mera iscrizione dell’impresa nel registro delle imprese: quest’ultima, infatti, non è oggetto di riesame periodico, essendo onere dell’impresa, per non pagare più il diritto camerale, quello di richiedere la cancellazione dall’albo presso la Camera di Commercio ed essendo prevista la cancellazione d’ufficio, ai sensi del D.P.R. n. 247 del 2004, solo in presenza di precisi presupposti e comunque sempre con efficacia decorrente dalla data di avvio del procedimento di cancellazione.

L’applicabilità del termine di prescrizione quinquennale al credito derivante dal diritto camerale si fonda sulla previsione del corrispondente termine fissato, in via generale, per l’irrogazione delle sanzioni dal D.Lgs. n. 472/1997, art. 20, co. 3, e, con specifico riferimento a quelle dovute per omesso versamento dei diritti camerali, dal D.M. n. 54 del 2005, art. 10.

Con l’ordinanza n. 1997/2018, riprendendo il principio di cui alla sentenza delle Sezioni unite n. 23397/2016, la medesima Corte di Cassazione aveva precisato che la prescrizione quinquennale trova piena operatività con riguardo a tutti gli atti, in qualsiasi modo denominati, di riscossione mediante ruolo o comunque di riscossione coattiva, inclusi dunque anche i crediti relativi ad entrate tributarie dello Stato nonchè le sanzioni amministrative per le violazioni di norme tributarie. La ratio di questa interpretazione si fonda nel principio, anche esso ribadito in precedenti interventi della Cassazione (in ultimo Cass. n. 20955 del 2020), secondo cui il termine entro il quale deve essere fatta valere l’obbligazione principale tributaria e quello relativo a quella accessoria, ovvero la sanzione nel caso di specie, deve essere unitario.