Il reddito di cittadinanza è pignorabile

IL PRINCIPIO DI DIRITTO

Per il Tribunale di Trani (ord. 30.01.2020) è pignorabile una quota del reddito di cittadinanza erogato ad un coniuge che risulta inadempiente agli obblighi scaturenti dalla separazione.

La decisione

Un coniuge, titolare di assegno di contribuzione al mantenimento delle due figlie minori in forza di un’ordinanza del Presidente del Tribunale, sul presupposto dell’inadempimento dell’altro coniuge rispetto a tale obbligo di contribuzione, richiedeva l’applicazione dell’art. 156, co. 4, c.c.: tale norma prevede che in caso di inadempienza, su richiesta dell’avente diritto, il giudice può disporre il sequestro di parte dei beni del coniuge obbligato e ordinare ai terzi, tenuti a corrispondere anche periodicamente somme di danaro all’obbligato, che una parte di essa venga versata direttamente agli aventi diritto.

Il Tribunale di Trani accoglieva tale domanda ritenendo, in primis, che il reddito di cittadinanza (introdotto dal D.L. n. 4/2019) possa essere utilizzato per i bisogni primari delle persone delle quali il titolare ha l’obbligo di prendersi cura, anche se non fa più parte dello stesso nucleo familiare.

Sebbene il decreto istitutivo nulla dica quanto alla pignorabilità del reddito di cittadinanza, la dottrina chiamata sin da subito ad occuparsi della questione e la prima giurisprudenza di merito, ne hanno ammesso la pignorabilità senza l’osservanza dei limiti di cui all’art. 545 c.p.c.

A favore di questa interpretazione militerebbero, secondo il Tribunale di Trani, diverse argomentazioni:

a) la definizione contenuta nel comma 255 dell’art. 1 del reddito di cittadinanza quale misura “contro la povertà, la disuguaglianza e l’esclusione sociale”, che vale “a garanzia del diritto al lavoro” e “della libera scelta del lavoro”, anche attraverso la salvaguardia del “diritto all’informazione, all’istruzione, alla formazione e alla cultura”;

b) l’assenza nel testo del decreto di qualunque riferimento alla natura alimentare del reddito di cittadinanza, anzi da escludersi alla luce della platea di soggetti deboli esclusi dal novero dei beneficiari, tra i quali ad esempio, gli inabili al lavoro;

c) quindi, il carattere predominante di misura di politica attiva dell’occupazione;

d) la natura eccezionale e di stretta interpretazione delle disposizioni che prevedono divieti di pignorabilità rispetto ad un principio generale, quello di cui all’art. 2740 c.c., che pervade il sistema.

Una volta ammessa la piena pignorabilità del reddito di cittadinanza, non sussiste alcuna ragione né logica né giuridica, per escludere l’ammissibilità dell’ordine di pagamento diretto al coniuge di una quota del reddito di cittadinanza erogato all’altro, inadempiente agli obblighi scaturenti dalla separazione. Inoltre, è stato ricordato che, secondo l’orientamento della Suprema Corte, la facoltà del Tribunale di ordinare che una quota dei redditi di lavoro del coniuge obbligato venga versata direttamente agli aventi diritto, non è soggetta alle limitazioni riguardanti la pignorabilità degli stipendi, specie in tema di contributo al mantenimento dei figli, stante la sua funzione alimentare (Cass. n. 2847/78; Cass. n. 15374/07; Trib. Roma. 3.6.2009).

L’ordine di pagamento diretto può essere emesso per l’intera somma dovuta dal terzo, quando questa non ecceda, ma anzi realizzi pienamente, l’assetto economico determinato in sede di separazione con la statuizione che, in concreto, ha quantificato il diritto del coniuge beneficiario.

Per questo il Tribunale di Trani ordinava all’I.N.P.S. di versare direttamente al coniuge richiedente, prelevandola dal reddito di cittadinanza, la somma di Euro 360.00 mensili, oltre ulteriori aggiornamenti ISTAT.