Il certificato dei carichi pendenti non è impugnabile

IL PRINCIPIO DI DIRITTO

Per la Corte di Cassazione (ord. 13536/2020) non è impugnabile la certificazione dei carichi pendenti non potendo rientrare fra gli atti contenenti pretesa impositiva diretta o indiretta.

La decisione

Un contribuente impugnava davanti alla Commissione Tributaria Provinciale la “certificazione dei carichi pendenti” nella quale si attestava l’iscrizione a ruolo di due cartelle di pagamento definite con condono ex art. 12 L. n. 289/2002. Giunta la controversia dinanzi alla Corte di Cassazione quest’ultima ha accolto il ricorso dell’Agenzia delle Entrate dichiarando non impugnabile il certificato dei carichi pendenti.

Nel motivare la propria decisione, la Cassazione ha evidenziato che la certificazione dei debiti tributari attesta l’assenza di debiti tributari o la sussistenza di debiti tributari non soddisfatti in base ai dati risultanti nel sistema informativo dell’anagrafe tributaria. In presenza di debiti tributari non soddisfatti, il certificato presenta in allegato un prospetto che riporta i debiti con l’ammontare e lo stato della riscossione alla data di rilascio del certificato stesso.

Il certificato contiene l’indicazione dei debiti risultanti dalle banche dati dell’anagrafe tributaria relativi agli atti, alle contestazioni in corso e a quelle già definite per le quali i debiti non sono stati soddisfatti, in materia di imposte dirette, di imposta sul valore aggiunto e relativamente ad ulteriori imposte indirette.

Alla luce del contenuto e della funzione di tale certificazione, per la Cassazione si tratta di un documento destinato a fornire informazioni sintetiche e riassuntive sull’esistenza, sulla consistenza, sulla natura e sullo stato dei debiti tributari per consentire di valutare l’affidabilità e la solvibilità del contribuente in sede contrattuale, amministrativa o giudiziaria.

Dunque, il tenore sommario e riepilogativo di tale certificato esclude l’idoneità a contenere un’informazione completa ed esaustiva su qualsivoglia (autonoma e/o nuova) pretesa impositiva (diretta o indiretta), con la conseguenza della non impugnabilità dello stesso in quanto tale per la assoluta mancanza di interesse (ex art. 100 c.p.c.) del debitore a richiedere ed ottenere il suo annullamento in sede giurisdizionale.

D’altra parte, la tutela del diritto di difesa del contribuente attraverso l’esercizio dell’impugnazione dell’atto impositivo (in special modo, se “atipico” rispetto all’elencazione del D.Lgs. n. 546/1992, art. 19) dinanzi al giudice tributario esige l’autosufficienza del suo contenuto sul piano della enunciazione (ancorché stringata) dei presupposti fattuali e delle ragioni giuridiche della pretesa impositiva, soprattutto quando si tratti del diniego di ammissione ad una definizione agevolata, non bastando a tal fine la mera indicazione dei debiti che risultano ancora iscritti a ruolo per l’esito negativo dell’istanza di condono.

In tal caso, quindi, acquisendo contezza delle pretese creditorie dell’amministrazione finanziaria attraverso la menzione fattane nel certificato in parola, il contribuente ha facoltà di far valere le proprie ragioni con l’impugnazione degli atti impositivi dinanzi al giudice tributario.

Per cui, non ha alcuna utilità sul piano pratico il riconoscimento di una tutela anticipatoria dinanzi al giudice tributario in relazione ad una certificazione dal contenuto generale ed onnicomprensivo, destinata a fornire un’informazione riassuntiva, in forma sintetica e riepilogativa, circa ogni tipologia di debito tributario a carico del contribuente, senza alcun diretto collegamento con gli atti e i provvedimenti che si inseriscono nella sequenza procedimentale per l’accertamento e la riscossione dei singoli tributi.