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Studio Legale

Guerra

Avvocato Penale e Civile. Specializzato in Diritto Tributario

Costituisce reato l’omessa dichiarazione del debitore su beni utilmente pignorabili

Il principio di diritto

Per la Corte di Cassazione (Sent. 44895/2019) costituisce reato l’omessa risposta da parte del debitore esecutato all’invito dell’ufficiale giudiziario ad indicare le cose o i crediti utilmente pignorabili nel termine di 15 giorni previsto dall’art. 492 c.p.c., co. 4.

 

La decisione

Un debitore era stato condannato di € 400,00 di multa per il reato di cui all’art. 388 c.p., co. 6, perchè, invitato dall’ufficiale giudiziario ad indicare le cose o i crediti utilmente pignorabili, aveva omesso di rispondere all’invito a presentarsi presso l’ufficio UNEP nel termine di 15 giorni previsto dall’art. 492 c.p.c., co. 4.

Per la Cassazione, l’ufficiale giudiziario invita il debitore ad indicare altri beni utilmente pignorabili (nonchè il luogo ove essi si trovino ovvero le generalità dei terzi debitori), nell’ipotesi in cui quelli assoggettati a pignoramento appaiano insufficienti a soddisfare le ragioni vantate dal creditore procedente, oppure nel caso in cui sia manifesta la lunga durata della liquidazione, con l’avvertimento della sanzione prevista in sede penale in caso di omessa o falsa dichiarazione. La dichiarazione del debitore, consacrata nella redazione di un processo verbale che egli stesso sottoscrive, si inserisce all’interno di una procedura esecutiva in corso, il cui compendio patrimoniale è già apparso insufficiente per il soddisfacimento delle pretese creditorie ovvero di non pronta liquidazione.

L’intento del legislatore è quello di evitare inutili e dannosi ritardi nella individuazione dei beni assoggettabili alla pretesa del creditore procedente e, al contempo, di favorire una concorsualizzazione della procedura di esecuzione forzata nel tentativo di assumere informazioni sulla consistenza del patrimonio del debitore.

Ne discende che tanto l’omessa cooperazione, diretta a rendere più arduo il compito del creditore procedente, quanto la mendace dichiarazione (di non possedere altri beni utilmente pignorabili, onde indurre il creditore ad abbandonare i propri sforzi), pur essendo rivolte ad un organo pubblico, offendono il medesimo interesse – interamente privato – di colui che ha promosso l’esecuzione e intende veder soddisfatto il proprio credito.

Ai fini della consumazione del delitto, infatti, la norma incriminatrice non richiede che il creditore procedente abbia effettivamente subito un danno, ma si limita a predisporre strumenti di preventiva tutela della sua pretesa, facendo obbligo al debitore – attraverso la previsione delle condotte alternative dell’omessa risposta nel termine di quindici giorni dall’invito e della falsa dichiarazione – di indicare al pubblico ufficiale tutto ciò che possa condurre al pieno soddisfacimento della pretesa azionata in sede esecutiva.

La fattispecie, dunque, è costruita dal legislatore quale reato di pericolo, poiché volta a fornire adeguati strumenti di tutela esecutiva al creditore procedente, irrilevante dovendosi ritenere, ai fini della realizzazione dell’offesa al bene protetto, l’accertamento ex post della non indispensabilità di quegli strumenti.

Ne discende che la dichiarazione resa dal debitore deve fornire un’adeguata informativa all’ufficiale giudiziario procedente e deve considerarsi omessa non solo quando manchi del tutto allo scadere del termine espressamente stabilito dalla legge, ma anche nell’ipotesi in cui non contenga elementi utili a consentire l’esatta identificazione degli ulteriori beni pignorabili, risultando così inidonea a determinare l’effetto dell’immediata apposizione del vincolo con le forme previste dall’art. 492, ossia quando non vengano indicati con certezza i beni pignorabili, la loro ubicazione, ovvero il terzo debitore con modalità idonee a consentire al creditore di procedere ai successivi adempimenti di cui all’art. 543 c.p.c.